Margherita Bianchini e Cecilia Sertoli si dedicano allo studio dell’universo delle società benefit, attraverso una ricerca empirica delle loro principali caratteristiche. L’analisi fa riferimento a determinati parametri quali: il trend di crescita delle società benefit, la loro collocazione territoriale e la tipologia societaria di riferimento. I risultati mostrano che, a due anni dall’introduzione nel nostro ordinamento, sono state costituite 187 società benefit, la maggior parte situate in Nord Italia. Per quanto riguarda le varie fattispecie societarie, esse risultano essere alquanto eterogenee, con una predilezione per le società di capitali piuttosto che di persone, in particolare S.r.l. di dimensioni medio-piccole. Nonostante ciò, le autrici scelgono di concentrare la propria attenzione verso le S.p.A., seppur molto inferiori numericamente, in quanto si presentano più in linea con la definizione di società benefit così come individuata dal legislatore, ossia un’organizzazione volta a tutelare l’incontro degli interessi degli azionisti con quelli degli stakeholder. Le autrici si dedicano poi a un’analisi relativa al contesto in cui le società benefit devono affermarsi. Viene così posto in essere un confronto tra BCorp – società di origine statunitense che si sottopongono in maniera volontaria a un percorso di valutazione del proprio impatto ambientale e sociale – e le società benefit – la cui destinazione di perseguimento di un beneficio comune deve rientrare espressamente in una clausola statutaria. Tale clausola è elemento fondamentale e caratterizzante delle società benefit, in quanto la natura ibrida – economica e sostenibile – è ciò che permette l’identificazione delle stesse. Di fatto, ciò che emerge è che di norma le società si concentrano su una valorizzazione virtuosa della gestione delle proprie attività specifiche, più che sull’apporto di modifiche definitive nel proprio assetto societario. L’articolo procede analizzando una serie di problematiche intrinseche, dalla difficoltà nella quantificazione del beneficio comune effettivamente realizzato, al livello di discrezionalità degli amministratori, all’identificazione di un soggetto responsabile del perseguimento del beneficio comune. Un’altra questione di particolare interesse è rappresentata dal diritto di recesso che i soci potrebbero esercitare a fronte di una modifica statutaria a favore della costituzione di una società benefit. Infine, le autrici ribadiscono la distinzione fondamentale che esiste tra impresa sociale e società benefit: mentre la prima non persegue finalità di lucro ed è votata alla realizzazione di un interesse collettivo, la seconda rientra nell’universo for profit e si impegna ad affiancare ai propri obbiettivi di massimizzazione del profitto il perseguimento di un beneficio comune. A cura della volontaria Valentina Cociancich